Il linguaggio del neonato: dalla gioia al pianto, come comprenderlo

La comunicazione è un aspetto essenziale della vita degli esseri umani che, sin dal momento della nascita, sono assolutamente in grado di comunicare con il mondo esterno. I bambini comunicano i loro bisogni e le loro emozioni attraverso il linguaggio del corpo, della mimica facciale, dei suoni, dei comportamenti e, solo dopo, attraverso le parole. Il metodo NBO (newborn behavior observation) – nel quale mi sono specializzata – è uno dei mezzi più efficaci per decifrare il linguaggio del neonato.

“Come farò a comprendere i bisogni del mio piccolo?”, si chiedono molte donne in dolce attesa. “Mio figlio piange senza sosta, perché?”, si domandano i neogenitori in preda all’angoscia. Leciti interrogativi a cui oggi si può trovare valida risposta anche grazie ai passi avanti della ricerca che, sempre più, ci indica la giusta direzione. Perché non esiste soltanto il linguaggio verbale e, per fortuna, è possibile imparare a comprendere i bisogni del neonato anche prima che riesca a pronunciare le prime parole.

Il linguaggio del neonato, come comprenderlo

Il linguaggio del neonato è potente e immediato, ma non per questo semplice da decifrare. Nasce dall’istinto naturale insito nell’essere umano che mira al soddisfacimento dei propri bisogni e si manifesta attraverso molteplici forme.

Lo sanno bene i neogenitori che, quando per la prima volta incontrano il loro bambino, cominciano la loro nuova avventura insieme. Un viaggio assolutamente individuale, personale e particolare che ogni giorno si trasforma e che crea un legame indissolubile.

E lo sanno pure le mamme e i papà dei più grandicelli, che non sanno come affrontare le loro crisi di pianto.

“Il compito dei genitori è quello di non paragonare le caratteristiche del proprio bebè a quelle di qualche altro bambino, ma di osservare, di ascoltare e di assecondare lo stile di vita particolare del proprio figlio”, ha suggerito Thomas Berry Brazelton, uno dei maggiori medici che si è occupato a lungo dell’osservazione del neonato al fine di rintracciarne le modalità di comunicazione.

Per lo specialista, l’osservazione e la fiducia nel proprio istinto sono i punti di partenza per entrare in relazione con i propri figli, capaci sin da piccolissimi di comunicare e di porsi in relazione con l’altro. A tale scopo, il contatto “pelle a pelle” – fisiologicamente garantito durante la gravidanza – tra madre e neonato dovrebbe essere mantenuto anche dopo il parto e allargato anche al papà.

 

I segnali innati dei bambini: non solo parole

Paul C. Holinger, nel suo libro “What babies say, before they can speak” ha rintracciato ben 9 segnali principali innati nei bambini. Si tratta di risposte a tutti gli stimoli interni (come dolore, fame, sonno) o esterni (un rumore, un odore).

L’esperto li ha suddivisi in due categorie:

– segnali di piacere, attraverso i quali manifesta le sue gioie e le sue soddisfazioni;

– segnali di angoscia, con cui chiede aiuto e rassicurazione.

Anche Tracy Hogg, famosa puericultrice inglese, ha approfondito con attenzione il linguaggio non verbale dei bambini, stilando la sua tabella “Dalle mani ai piedi”.


Il linguaggio del neonato nel primo anno di vita, un processo in rapida evoluzione: le tappe

Nei primi giorni di vita – fino alle sei settimane – i suoni riprodotti dai bambini rappresentano una sorta di “effetto riflesso” a seguito di una stimolazione involontaria. Ma dai due mesi iniziano le prime vocalizzazioni che, presto o tardi  – e in assenza di particolari traumi o patologie -, si trasformeranno in linguaggio verbale vero e proprio. Il linguaggio non verbale del bebè rappresenta la sua prima forma di comunicazione e, per questo, merita tutta l’attenzione di chi gli sta attorno. Ecco tutte le tappe di sviluppo del linguaggio nel primo anno di vita.

Da 0 a 2 mesi, il neonato sente e riconosce la voce di mamma e papà, anche senza conoscere ancora il significato delle parole. Comunica soprattutto attraverso gli occhi (contatto visivo) e il pianto, reagendo agli stimoli dei genitori dei quali ha imparato a tradurre le emozioni. A circa 3 settimane di vita, aggiunge nuovi suoni, come i “click” della lingua e i grugniti.

Tra 2 e 4 mesi, il piccolo inizia a produrre suoni che indichino compiacimento, voglia di ascoltarsi e/o di catturare l’attenzione di chi lo circonda. Le vocalizzazioni cominciano a essere differite per durata, intensità, altezza dei suoni. I genitori spesso si sorprendono per il susseguirsi di esclamazioni di gioia come “Ghhhh”, “ooooh”, “ahhh”.

Tra 4 e 6 mesi, urla più forte e si diverte ad ascoltare i suoi stessi suoni (auto-stimolazione), talvolta può preoccuparsi a seguito di un vocalizzo troppo intenso. Le sue espressioni cambiano in funzione del suo umore e cominciano a essere prodotte in risposta (o in richiesta) a stimolazioni esterne di tipo relazionale. Perché, già a quest’età, comincia ad amare le relazioni sociali e a soffrire la noia.

Tra 6 e 8 mesi, il bebè inizia la sua comunicazione intenzionale attraverso i gesti. Balbetta sempre più, emette suoni in modo mirato ed è interessato alle persone che gli parlano, le guarda. Si sporge dal passeggino, reagisce quando sente pronunciare il suo nome, girando o alzando la testa. È attento a ciò che accade attorno a lui, percepisce le parole che gli sono più familiari, come “papà” e “bambino”, pur non comprendendone appieno il significato.

Tra 9 e 12 mesi comprende ormai il significato di moltissime parole familiari – come “mamma”, “papà”, “pappa”, “nanna”, “bagno”, etc – e potrebbe già aver cominciato a riprodurre le prime. Compie gli stessi gesti di coloro che gli stanno attorno. Le sue capacità di comprensione risultano in continua crescita, risponde ai comandi di azione più complesse, come agitare la mano per salutare, avvicinare la bocca quando gli si chiede un bacio, indicare l’oggetto che desidera, balbettando nel frattempo.

In questa fase scopre il simbolismo del linguaggio e i genitori, anche se non riescono a comprenderne perfettamente il gergo, dovrebbero cercare di comunicare con lui il più possibile.

Lo sguardo del bambino

La primissima forma di relazione che il bambino instaura con i genitori è sicuramente lo sguardo, quello che gli specialisti definiscono “sguardo innamorato”. È il modo in cui genitori e figli si contemplano, si osservano, imparano a conoscersi in modo intenso, speciale e, appunto, ricco d’amore.

Sappiamo che i bebè non vedono oltre una certa distanza, ma riescono certamente a focalizzare lo sguardo dei genitori e a comunicare con loro.

Se si prova a porlo davanti a sé, fissando i suoi occhi, anche lui dopo poco farà altrettanto. Questo è uno degli esercizi che faccio spesso con i genitori per sottoporre alla loro attenzione le competenze del loro bambino.

Il pianto del neonato, i motivi

Può dirsi lo stesso del pianto, il primo mezzo di comunicazione del neonato che esprime così i suoi bisogni.

L’accezione culturalmente negativa di questa manifestazione fa sì che, talvolta, i genitori se ne preoccupino troppo. È bene sottolineare che i bambini piangano quando hanno fame, quando hanno caldo, freddo o sonno, quando sono infastiditi dal cambio del pannolino, quando desiderano un abbraccio, quando sono annoiati o quando, al contrario, sono stati troppo stimolati. Insomma, il più delle volte si tratta di motivazioni assolutamente non gravi che non dovrebbero allarmare mamma e papà.

Il fatto che il pianto non sia dovuto a un evento grave, non significa però che non vada ascoltato. Si tratta, infatti, dell’unico strumento a disposizione del piccolo per comunicare un bisogno. Soddisfare le sue richieste, ascoltarlo, è di fondamentale importanza per la sua buona crescita psicofisica. Soprattutto durante il primo anno e mezzo di vita, quando non percependosi come soggetto separato dalla madre, interpreta le risposte dell’ambiente come provenienti dal suo stesso interno. Cosicché un neonato inascoltato possa inconsciamente credere di essere incapace di soddisfare i propri bisogni, sviluppando una scarsa autostima e sentimenti di rassegnazione.

Esistono bimbi che piangono di più e altri che dopo i primi mesi utilizzano questo strumento solo di rado, lasciando spazio quasi solo ed esclusivamente ai sorrisi per esprimere – dai due mesi d’età – i loro sentimenti negativi.

Spesso le madri dei neonati “piagnoni” subiscono i giudizi inesatti di coloro che stanno loro attorno: “Se tuo figlio piange molto, allora vuol dire che assorbe le tue emozioni e che non sei serena”; “Non vedi che piange sempre? È semplicemente perché è viziato, devi lasciarlo piangere senza accontentarlo troppo”.

In realtà ogni bambino si esprime a proprio modo e presenta un’indole diversa. Ma quelli più “difficili” possono far sì che chi se ne prende cura – soprattutto se in assenza di un valido supporto familiare – sperimenti sentimenti negativi.

È pure vero che piangere e urlare comunicano emozioni diverse e la loro distinzione nei neonati non è sempre semplice. Per farlo, occorre concentrarsi sugli indizi sonori: volume, tono della voce, ritmo del respiro. E sui segnali visivi: espressione facciale, movimenti di suzione, smorfie, sorrisi, gesti, postura.

L’ascolto e la gestione delle emozioni del neonato con il metodo NBO

Il più grande favore che si possa fare al proprio figlio consiste nell’accettazione della sua indole e delle sue manifestazioni. Nel prendere atto del fatto che il pianto rappresenti il suo linguaggio naturale e non un problema.

Genitori non si nasce, si diventa. Nessun bebè nasce con il manuale delle sue istruzioni integrato e non c’è niente di male nel non saper fare qualcosa, nel non riuscire a decifrare il linguaggio del proprio bambino piuttosto che nel gestire l’espressione delle sue emozioni.

Chiedere aiuto a un professionista può essere il primo passo per comprendere la sua “lingua”, per ascoltarla in modo attivo e non passivo, per affrontare al meglio le situazioni di stress senza entrare nel panico, per rispondere nel modo che preferisce, considerando che nessun bambino può essere uguale a un altro.

Il tuo piccolo piange per molte ore durante il giorno e non sai perché?

Esistono dei precisi momenti della giornata in cui diventa inconsolabile e non riesci a gestirli?

Hai notato la correlazione del suo pianto con alcuni eventi ma non sai come conciliare le tue esigenze con le sue?

Contattami per richiedere una consulenza personalizzata e impara a decifrare il suo linguaggio, trasformando la difficoltà in un’opportunità per migliorare il vostro rapporto.

I metodi che utilizzo sono l’NBO del Brazelton Instituite e l’HUG my baby. La loro combinazione mi consente di offrire a qualsiasi genitore gli strumenti necessari alla comprensione e al dialogo con il bebè, ma anche all’utile prevenzione del suo pianto.

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