Sonno condiviso

Da diverse ore gira in rete la tragica notizia di un neonato morto in ospedale perché la madre, reduce dal parto, si è addormentata.

E, come puntualmente accade in questi casi, si racconta l’accaduto mettendo in evidenza solo un l’elemento dell’accaduto, senza la conoscenza dettagliata sui fatti : la prassi del co-sleeping.

In qualità di consulente professionale IBCLC, e di consulente del sonno, non posso esimermi dal precisare che:

1) per natura ogni neomamma ha un’alta sensibilità nei confronti degli stimoli procurati dal piccolo, sensibilità che ci ha permesso di far sopravvivere la nostra specie;

2) l’assunzione di farmaci, l’eccessiva stanchezza, lo stress del parto stesso, il forte sbalzo ormonale e altri fattori possono in alcuni momenti alterare questa sensibilità. Per questo il personale sanitario e i familiari hanno il dovere di valutare e sorvegliare sulle condizioni psico-fisiche della donna;

3) l’allattamento naturale al seno e il co-sleeping non possono che favorire la buona crescita del neonato e rimangono preferibili rispetto all’allattamento artificiale e alla ninna in sedi separate (es. nursery in ospedale). Infatti i neonati allattati al seno che dormono con la mamma corrono meno degli altri il rischio di morte in culla, sembrano godere di sistemi immunitari più forti.

4) Le linee guida del sonno condiviso richiedono delle condizioni inerenti all’ambiente e alle abitudini dei genitori;

5) prima del Covid la maggior parte delle partorienti poteva godere dell’assistenza dei familiari direttamente in reparto. Questo era d’aiuto non soltanto a mamma e bambino, ma anche al personale sanitario che spesso si trova in numero ridotto rispetto alle reali necessità presenti in struttura;

6) dal Covid in poi, così come nelle situazioni sociali meno fortunate, molte donne sono rimaste sole ad affrontare il delicato momento del parto e del post-parto. Ciò, oltre che aumentare il rischio di “incidenti di percorso” di vario genere, ha fatto crescere l’incidenza di depressioni e altri problemi di salute direttamente collegati al bisogno insoddisfatto di sostegno;

7) quando un bambino nasce, della sua salute e della sua sopravvivenza non è responsabile soltanto la madre, ma anche (e soprattutto) il resto del nucleo familiare e il personale sanitario;

8) Dovrebbe aumentare l’attenzione dello Stato nei confronti dei nuovi nati e della diade madre/bebè. Il ché si traduce nell’immediata e continua disponibilità in ospedale di personale specializzato sempre disponibile e attento che possa effettivamente sostenere la diade mamma-bambino e il resto della famiglia. Ma anche nell’esistenza di supporti statali maggiori nei confronti delle donne, come per esempio la possibilità di usufruire di nidi pubblici per consentire il diritto a lavoro e il diritto al riposo della mamma, la maternità prolungata, l’aiuto gratuito in casa di personale specializzato nella cura dei neonati diversamente abili.

Non è possibile utilizzare le donne come il capro espiatorio di tutte le mancanze dello Stato, ancora una volta. Né tantomeno dovrebbe essere consentito, soprattutto davanti a simili tragedie, la pubblicazione di notizie sommarie da parte dei media che diffondono informazioni fuorvianti.

Se proviamo un attimo a metterci nei panni della donna in questione – una trentenne che aveva appena donato la vita – possiamo almeno lontanamente immaginare il dolore devastante provocato dalla tragedia. Cosa potremmo aver provato noi, al suo posto, leggendo pure affermazioni così gravi sui giornali?

Se rivendicare i propri diritti in maniera civile è un dovere morale del cittadino, allora la nostra “battaglia” non dovrebbe portarci mai al giudizio del prossimo, quanto alla richiesta di maggiori tutele da parte di uno Stato che – a fronte dei nostri contributi versati – dev’essere in grado di tutelare la nostra sicurezza e il nostro benessere.

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